il G.A.S. di Santa Maria in Stelle

A Santa Maria in Stelle, dal 2005 è attivo un Gruppo di Acquisto Solidale,
Si tratta di un gruppo di famiglie che partendo da una riflessione sui propri stili di vita, cerca di indirizzare i propri acquisti verso prodotti realizzati nel rispetto dell’ambiente e di una sana alimentazione e che garantiscano un giusto reddito alle persone che li hanno prodotti.

Attualmente vengono effettuati acquisti settimanali di frutta e verdura fresca, uova e, periodicamente, di pasta, farine, passata di pomodoro, riso, olio, prodotti del Commercio Equo (CTM), carne. Sono attualmente coinvolte oltre 80 famiglie prevalentemente della media e bassa Valpantena

Gli scopi del gruppo sono:

Þ Riflettere sui modi e sui tempi per attuare uno stile di vita sobrio e consapevole
Þ Ricercare produttori e nuovi prodotti biologici o ecologici che siano realizzati nel rispetto dell'ambiente e delle condizioni dei lavoratori
Þ Definire modalità di acquisto comode e vantaggiose, attraverso le relazioni tra le persone del gruppo.

Via olivi e boschi per far posto alle vigne «Verona diventa un deserto biologico» Il professionista "Occorre un'evoluzione culturale" Dal CORRIERE DEL VENETO del 11 e 13 Marzo

CORRIERE DEL VENETO 11 marzo 2016 prima pagina



Venerdì 11 Marzo, 2016 
CORRIERE DEL VENETO - VERONA
Via olivi e boschi per far posto alle vigne «Verona diventa un deserto biologico»
Dalla Valpantena a Quinzano al Garda: «Rischio monocoltura, come in Valpolicella»

VERONA C’è una legge regionale, la numero 6 del 2011, che vieta l’abbattimento di alberi di olivo. In teoria. Poi ci sono le deroghe. E così succede che spianare interi oliveti sulle colline veronesi, in zone sottoposto a vincolo paesaggistico, sia perfettamente lecito. Legale. Tutto per far spazio ad altri vigneti. Con il rischio che la provincia di Verona somigli sempre più a una monocoltura, quella della vite, con tutto quel che ne consegue in termini di paesaggio e biodiversità.
Quello che sta accadendo in questi giorni in contrada Vendri, vicino Santa Maria in Stelle in Valpantena, è già successo e succederà in tutta la fascia collinare veronese. Arrivano le ruspe, gli olivi vengono abbattuti o asportati, il terreno spianato, pronto per l’innesto di nuove vigne. «Secondo il piano territoriale di coordinamento provinciale (Ptcp) questa è una zona vocata alla coltivazione dell’olivo - rileva Marta Fischer, del Comitato Valorizzazione Valpantena - ma molti privati stanno togliendo olivi anche centenari per sostituirli con le vigne, come già accaduto da tempo in Valpolicella».  
Quando le aree sono vincolate, come nel caso delle colline di Vendri, è chiamata a esprimersi anche la soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici. Ma spesso capita - ed è questo il caso - che non lo faccia facendo intervenire il silenzio assenso. Così un’area che la stessa commissione paesaggistica comunale definisce nella sua istruttoria «di non comune bellezza sia per la singolarità dell’aspetto vegetazionale e faunistico sia per la presenza di antiche contrade medievali di notevoli costruzioni rurali e di bellissime ville cinquecentesche» venga sbancata per lasciar posto alle vigne, con l’unico vincolo di mettere a dimora, tra un filare e l’altro, alcuni alberi di ciliegio. «Oggi purtroppo l’olivo rende poco, quindi c’è la tendenza appena possibile a trasformare gli uliveti in vigneti. È un’esigenza di mercato, che può essere anche comprensibile, ma che comporta gravi perdite di paesaggio e di biodiversità», rileva la naturalista Paola Modena. Una spinta che in pochi hanno provato a fermare: tra questi il Comune di Mezzane, che ha approvato una variante al piano regolatore che prevede la salvaguardia assoluta degli oliveti. «Ma non è una battaglia che si può lasciare ai pur volenterosi sforzi dei singoli Comuni», rileva la naturalista.
Non sono solo gli oliveti a sparire per far posto alle vigne. Qualche tempo fa, l’associazione Il Carpino portava l’esempio di un’area in via Are Zovo, sopra Quinzano, parte di una zona di «prati aridi» che in dialetto vengono indicati con il nome di «vegro»: suoli molto poveri, con un substrato attivo di poche decine di centimetri. «Qui, ai lati della strada, poco prima della Costa del Buso, una fresa frantuma di giorno e di notte un metro di roccia polverizzando così milioni di anni di storia geologica», scrivevano Mario Spezia e Massimo Dall’O de Il Carpino. Stessa sorte subivano i manufatti dell’uomo: i caratteristi muretti a secco, le antiche mulattiere di collegamento, le canalizzazioni in marmo. Anche qui per far posto a nuove viti, che completano l’opera della cementificazione che ha sfigurato negli anni Ottanta borghi rurali come Negrar e Grezzana e vanificano l’avanzata dei boschi di roverella, orniello e carpino nero. «Ci si chiederà cosa c’entra il terroir con il vino ottenuto con i metodi descritti - l’amara conclusione dell’associazione - nel frattempo la collina veronese è pressoché scomparsa. Per sempre. Trasformata in un deserto biologico come la sottostante pianura, in cui vivono due o tre colture e tutto il resto è stato fatto scomparire».
Il problema non riguarda nemmeno solo l’area del Valpolicella. Nell’entroterra gardesano vengono segnalati numerosi sbancamenti. Nel Comune di Peschiera, negli scorsi giorni, è stato completamente raso al suolo un bosco di gelsi, in vista dell’impianto di nuovi filari di Lugana. Come non bastassero di danni della futura Tav, il cui tracciato attraverserà proprio queste colline moreniche. «Altro che Tav, questi signori hanno distrutto uno degli ultimi luoghi naturali della zona del Lugana», ha denunciato su Facebook Carlo Veronese, il direttore del Consorzio del Lugana. Si parla di vino, ma passa davvero la voglia di brindare.
Alessio Corazza



  • Domenica 13 Marzo, 2016
  • CORRIERE DEL VENETO - VERONA
  • «Troppe viti? Il paesaggio evolve. Ma il vero rischio è l’abbandono»
    Il professionista: «Non si può chiedere di tenere gli olivi se non rendono più»
    VERONA Che la provincia di Verona stia andando sempre più verso una monocoltura della vite è un dato di fatto sotto gli occhi di tutti. Tutto questo è un male? Secondo molti, sì. Ne va della biodiversità e del paesaggio, che rischia di diventare sempre più monotono. Il Partito democratico convocherà a breve una commissione in Comune proprio per affrontare questo tema perché «senza vincoli pianificatori la legge nazionale e regionale di tutela è carta straccia», sostiene la consigliera Elisa La Paglia. Ma c’è chi porta avanti punti di vista differenti.
    In risposta a un articolo del Corriere di Verona , uscito venerdì, che preso in esame alcuni casi eclatanti, come l’abbattimento di alcuni oliveti in Valpantena (contrada Vendri), lo sbancamento di alcuni terreni sopra Quinzano, il disboscamento di aree nell’entroterra gardesano, il tutto per far posto a nuovi vigneti, un dottore in scienze forestali e ambientali ha scritto una approfondita disanima della situazione a Verona.
    La tesi di partenza di Eugenio Cagnoni, libero professionista di San Martino Buon Albergo che si trova spesso a fare consulenze per chi deve impiantare nuovi vigneti, è che il paesaggio è dinamico. Così, l’estirpazione degli ulivi in favore dei vigneti non è necessariamente da condannare, anzi: «L’oliveto è una coltura agraria condotta da un’azienda agricola ossia un’impresa - scrive Cagnoni - condizionare un’impresa a dover immobilizzare il proprio capitale fondiario in un investimento che in quel periodo magari non rende con conseguente rovina di quell’impresa, abbandono del territorio e via via fino ai ben noti dissesti idrogeologici».
    Allo stesso modo, Cagnoni smentisce - dati alla mano - che i boschi nei nostri territori si stiano riducendo. Il rapporto statistico 2009 della Regione Veneto certifica un aumento della superficie forestale, dal 1980-83 al 1998-99, di 25mila ettari. I numeri sono ancora più eclatanti se si considera una forbice più ampia, dal 1954-55 al 2000, come hanno fatto Regione Veneto e Iuav di Venezia nella pubblicazione «Evoluzione dei Boschi Veneti»: nella sola Lessinia, i boschi sono cresciuti di 18mila ettari, per la maggior parte nella fascia collinare (30-800 metri). Il tutto a scapito di superfici un tempo coltivate.
    Insomma, se pensare «a colline interamente rivestite dalla monocoltura della vite e sicuramente sbagliato», lo sarebbe allo stesso tempo auspicare «una selvaggia monotonia paesaggistica ed ecologico-funzionale di interi monti e versanti tutti uguali a loro stessi perche ricoperti da boschi», condizione che sarebbe per altro «il frutto dell’abbandono con gravi e conseguenti rischi idrogeologici come gia ben rilevato in moltissime altre parti del Veneto e d’Italia».
    Secondo Cagnoni, serve un’evoluzione culturale: «È giunto il momento di parlare di qualità paesaggistica ossia di come permettere all’economia di trovare le risorse per gestire il paesaggio in modo serio ed ambientalmente sostenibile pur garantendo il buon sostentamento delle aziende». Non opporsi all’avanzata della vite, quindi, ma studiare ed analizzare la realtà arrivando a fornire indicazioni pratiche o linee guida per un paesaggio agricolo piu ricco e complesso come ad esempio l’arricchimento di siepi campestri lungo i margini dei campi od una posa diffusa di alberi ed arbusti che movimenti i rigidi poligoni dei vigneti adagiati sui versanti». Ma perché ci si arrivi «la politica tutta, a partire dal livello regionale in seno alla quale si trova la competenza paesaggistica, deve iniziare ad attivarsi su questo tema». 

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